Campagna "Trasparenza e diritti". Le motivazioni e gli obiettivi
Il
testo dell’appello per chi non è dentro le questioni può apparire troppo tecnico
e di difficile decifrazione. Vediamo allora di riuscire a spiegarne con un
linguaggio meno specialistico i contenuti e gli obiettivi della
Campagna
Quali le motivazioni della Campagna?
La Campagna nasce dalla constatazione della inadeguatezza delle risposte ricevute dalle persone che necessitano di servizi sociosanitari. In alcuni casi si può parlare di diritti violati (quando si negano i servizi previsti dai livelli essenziali di assistenza), in altri di bisogni disattesi (quando l’offerta non è adeguata alle esigenze delle persone). Ci rivolgiamo dunque alla regione Marche con la richiesta di dare maggiore dignità a questi servizi; dignità per chi li fruisce e per chi ci lavora.
Ci riferiamo ai servizi domiciliari, diurni e residenziali rivolti a persone non autosufficienti. In particolare persone con disturbi mentali, soggetti con disabilità grave, persone colpite da gravi malattie degenerative, anziani non autosufficienti comprese persone affette da demenze. La Campagna chiede inoltre che il percorso sia partecipato; le scelte non sono, infatti, neutre.
Per questo motivo non chiediamo solo alla Regione di fare alcune cose, ma di farlo attraverso un percorso partecipato. La scelta è stata quella di concentrarsi su alcuni aspetti del sistema dei servizi ed in particolare per alcuni se ne chiede la definizione: quanti ce ne devono essere, come funzionano, quanto costano, chi li paga.
Partiamo dal presupposto che chi vive nelle Marche ed ha determinate necessità, ha il diritto di avere i servizi erogati in maniera uniforme su tutto il territorio. Non possono né devono esserci differenze se si abita a nord o a sud, in zona costiera o zona montana. Ad identico servizio devono corrispondere identiche prestazioni attraverso lo stesso livello (standard) di personale. Deve essere, conseguentemente, stabilito un costo corrispondente (tariffe) insieme alla definizione dei soggetti che lo devono pagare (ASUR, utenti e/o Comuni, se previsto).
Se chiediamo queste cose è perché evidentemente non è questa la situazione presente nel territorio marchigiano. Parliamo per questo di applicazione dei Livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) anche nella parte sociosanitaria e di regolamentare il sistema in termini di fabbisogno, finanziamento, standard e tariffe. A ciò si aggiunge - anche se potrebbe sembra ovvio - che ogni persona in difficoltà ha il diritto ad una valutazione professionale dei suoi bisogni al fine di individuare la migliore risposta alle sue esigenze. Al diritto dell’utente corrisponde un dovere delle istituzioni. Purtroppo, anche questo, molto spesso non accade. Accade invece con sempre maggior frequenza che le valutazioni siano di natura amministrativa e più funzionali a quello che il sistema dei servizi può dare, che a quello di cui la persona ha bisogno. La logica e la pratica del razionamento occulto.
Cosa sono i livelli essenziali di assistenza sociosanitaria e cosa significa applicarli? Perché chiedete che venga fatto coerentemente?
Sono le prestazioni sanitarie contenute nel decreto 29.11.2001 (assunte con legge 289/2002) che il sistema sanitario è tenuto a garantire in tutto il territorio nazionale. Tra queste ci sono quelle sociosanitarie (all. 1c), che sono carico completo o parziale del servizio sanitario; nel caso di quota sociale, questa prevede compartecipazione da parte dell’utente; se il suo reddito è insufficiente è tenuto ad intervenire il Comune. Le prestazioni sociosanitarie che devono essere garantite (un diritto per il fruitore, un dovere per Asl e Comuni) riguardano i soggetti sopra richiamati (persone non autosufficienti: persone con disturbi mentali, soggetti con disabilità grave, persone colpite da gravi malattie degenerative, anziani non autosufficienti) e si distinguono in domiciliari, diurne e residenziali. Ciò significa, ad esempio, che in base ai Lea è obbligatoria l’erogazione di servizi (diurni e residenziali) per soggetti con malattia mentale, tossicodipendenti, disabili, anziani non autosufficienti, malati di Aids. Dunque queste prestazioni e servizi, pagati in tutto o in parte dal servizio sanitario, devono essere assicurate ai cittadini e non possono essere condizionate dalle risorse disponibili.
Chiediamo che vengano applicati coerentemente perché a seconda delle condizioni della persona (tipologia di utenza) cambiano i criteri di compartecipazione tra sanità e utente/ Comune. Ad esempio nella disabilità, un servizio che eroga prestazioni intensive o estensive viene pagato completamente dalla sanità e al cittadino non viene richiesto alcun contributo, se è un disabile grave (ai sensi della legge 104-1992) e fruisce di un servizio diurno o residenziale la sanità deve pagare il 70% e l’utente/Comune il 30. Se il servizio residenziale riguarda i non gravi l’utente/Comune paga il 60%, l’Asur il 40%. E’ evidente che se a un disabile grave si applica il criterio del non grave il cittadino o il Comune pagherà il 60% del costo invece del 30. Se, ad esempio, il costo giornaliero è 100 euro, la quota sociale (a carico di utente/comune) sarà di 60 euro invece di 30. E’ questo il motivo per cui chiediamo che il percorso applicativo dei Lea sia fatto in maniera partecipata. Da qui la scelta del nome della Campagna, “Trasparenza e diritti”.
La seconda richiesta riguarda la regolamentazione dei servizi sociosanitari. Quali sono le regole che mancano e perché sono così importanti?
I LEA stabiliscono le prestazioni/servizi cui il cittadino ha diritto di fruire insieme alla definizione di chi le deve pagare, ma non indicano “il quanto” della prestazione (standard di offerta). Per quanto riguarda ad esempio le prestazioni ospedaliere questo non crea problema perché gli ospedali ci sono in ogni territorio e le prestazioni previste sono accessibili. Se una persona si sente male va al Pronto soccorso e se le condizioni sono tali da richiedere un ricovero ospedaliero questo viene assicurato; inoltre per quanto riguarda i posti ospedalieri ne viene stabilito anche il numero che deve essere garantito. Sono 4 (il decreto sulla spending review ne prevede un abbassamento fino al 3,7) ogni mille abitanti (3,3 per acuti e 0,7 per riabilitazione lungodegenza). Non così per i servizi sociosanitari. Ad esempio, può capitare che nel territorio in cui si vive non sia presente un servizio residenziale o non ci sono posti disponibili; è evidente che quel servizio non si crea da un giorno all’altro. Il risultato può essere quello di poter avere un servizio molto lontano dal luogo di residenza e dagli affetti con la conseguente impossibilità di fruizione. Per questi motivi la Campagna chiede alla Regione anche la definizione di altri fondamentali aspetti.
1) Fabbisogno. Ovvero quanti servizi devono esserci (posti) insieme alla loro ripartizione territoriale. Non basta, infatti, solo la definizione del loro numero complessivo ma è necessaria anche la declinazione territoriale. Una declinazione che chiediamo avere come riferimento l’articolazione distrettuale (che ora andrà a coincidere con quella delle vecchie Zone). Una famiglia che deve ricorrere alla residenzialità per un proprio congiunto non può avere un servizio a 50 o 100 km, ma deve averlo il più possibile vicino, così da non determinarsi uno sradicamento dagli affetti. Così per un servizio diurno.
2) Standard. Per tutti i servizi devono essere definiti gli standard di personale (condizione per stabilirne la tariffa), così che in tutta la Regione i servizi che hanno identica classificazione (autorizzazione) eroghino identiche prestazioni. Per fare un esempio: gli oltre 900 posti di Rsa anziani funzionano senza che ciò sia definito. Così il numero di infermieri, Oss, fisioterapisti, ecc … divergono da struttura a struttura. Ciò determina una differenziazione della prestazione erogata. Chiediamo inoltre che quando viene fissato lo standard attraverso il cosiddetto minutaggio (minuti di assistenza al giorno), vengano anche definite le figure professionali che lo compongono. Ciò per evitare che siano prevalenti, ad esempio, quelle assistenziali rispetto a quelle educative al solo fine di abbassare i costi o di avere maggiore guadagno (quando la tariffa è precedentemente determinata).
3) Tariffa. Vuol, dire che tutti i servizi che hanno identica classificazione devono avere identico costo. La Regione deve, quindi, sulla base dello standard di assistenza, definire la tariffa di quel servizio. Attualmente per servizi identici ci sono scostamenti di costo che possono arrivare anche al 100%. Ciò – e qui si capisce il riferimento alla trasparenza – determina una situazione di scarsissima chiarezza. Una discrezionalità che può facilmente dilagare nel clientelismo. Non è infatti chiaro se in alcuni casi il servizio sia fornito sotto costo oppure venga riconosciuta una tariffa di gran lunga superiore al costo. Ad esempio per quanto riguarda le Rsa anziani a San Benedetto del Tronto 180 minuti di assistenza al giorno vengono remunerati per poco meno di 100 euro; ad Ancona, 130 minuti di assistenza hanno una tariffa giornaliera di circa 140 euro. Oppure una identica struttura psichiatrica a Pergola costa 180 euro (con uno standard di 360 minuti/giorno), a Maiolati Spontini 171 euro (con uno standard di 142 minuti/giorno). Ritorna la questione della trasparenza. E’ evidente che tutto questo non accadrebbe se la Regione fissasse gli standard e successivamente la tariffa. Servizi aventi identica classificazione devono prevedere identiche prestazioni, figure professionali, costi e oneri a carico degli enti.
Cosa significa e quali problemi determina l’incoerenza tra classificazione e funzione dei servizi?
Esiste incoerenza tra classificazione e funzione tutte le volte che un servizio è previsto ed organizzato per una tipologia di utenza invece ne ospita un’altra. Possono presentarsi due situazioni:
a) strutture autorizzate per una tipologia di utenti (disabili), ma che accolgono altri utenti (soggetti con patologia psichiatrica);
b) strutture autorizzate per erogare un determinato livello assistenziale e dunque per una determinata tipologia di utenza, che accolgono invece persone che necessitano di una diversa intensità assistenziale. Ad esempio strutture previste per persone con buona autonomia senza necessità di assistenza continua che ospitano invece persone non autonome con bisogno assistenziale sulle 24 ore.
I problemi determinati da questa situazione sono a più livelli, con importanti ricadute sul sistema dei servizi territoriali e sugli utenti. In entrambi i casi il principale problema è che le regole di funzionamento per la struttura autorizzata non trovano corrispondenza negli utenti ospitati. Ciò riguarda la tipologia del personale, la dotazione, le prestazioni erogate e – cosa non meno importante – gli oneri a carico dell’utente. Inoltre quando c’è autorizzazione per un’area (vedi disabilità) e utenza difforme (ad esempio psichiatria) si ha come risultato che in quel territorio dal punto di vista formale figura una certa tipologia di struttura, dal punto di vista sostanziale un’altra. Quando la Regione dovrà definire l’atto di fabbisogno il dato ricognitivo di quel territorio indicherà la presenza di una residenza per disabili quando invece la struttura ospita soggetti con problematiche psichiatriche. Ad esempio, secondo dati regionali (forse non del tutto esatti), sono presenti in tutta la Regione 9 residenze protette per complessivi 148 posti; un gran numero di questi non è certamente riconducibile alla tipologia di utenza prevista per le Rp (residenze protette) disabili. Ma il dato, proveniente dalle autorizzazioni, ci dice invece che sono circa 150 posti, in tutta la Regione, quelli offerti per le persone disabili dalle Residenze protette. Questo ragionamento potrebbe allargarsi e riguardare molte altre strutture come ad esempio: Rsa anziani, comunità alloggio per persone con disturbi mentali, Case di riposo, centri diurni per disabili (ai sensi della legge 20-2000).
Sulle cure a domicilio, ricordate che la sanità deve pagare il 50% dell’assistenza tutelare. Com’è effettivamente la situazione nelle Marche?
Le cure domiciliari nelle Marche sono regolate, per quanto riguarda il modello organizzativo, da una delibera del 2001. Purtroppo pur essendo vecchia e da rivedere in molte parti, risulta in gran parte non applicata sia rispetto alla tipologia di prestazioni che all’estensione oraria delle stesse. In moti territori della Regione l’ADI “funziona” solo di mattina, con un approccio prestazionale. Per quanto riguarda l’assistenza tutelare si tratta di una prestazione sociosanitaria (come quella che viene erogata nelle residenze per non autosufficienti) che oggi viene spesso erogata all’interno dei servizi di assistenza domiciliare dei Comuni. Un servizio che viene pagato interamente dai Comuni e dagli utenti, che invece dovrebbe essere pagato per metà dal sistema sanitario. L’appello chiede che venga applicata quella norma insieme alla riorganizzazione di questo servizio che, se ben organizzato, potrebbe curare a casa molte persone, evitando in molti casi l’ospedalizzazione e riducendo nel contempo l’istituzionalizzazione.
Gli obiettivi della campagna sono chiari. Come pensate di raggiungerli?
Siamo partiti con la definizione dell’appello e un gran numero di enti che sono andati a costituire il Comitato promotore: 44 organizzazioni in rappresentanza di utenti, operatori, volontariato, gestori, sono tante. A queste si sono aggiunte successivamente un’altra decina di organizzazioni alcune di grande importanza (vedi Acli regionale e Confcooperative Marche). Ora da una parte continua il lavoro per aggiungere nuove adesioni, dall’altro puntiamo a far capire l’importanza della posta in gioco in particolare ai comuni e alle loro rappresentanze (dai Comitati dei Sindaci all’Anci). A tal proposito abbiamo predisposto anche una bozza di ordine del giorno. Confidiamo anche che i sindacati, ad oggi silenti, appoggino la nostra Campagna. Dunque a partire da settembre avvieremo iniziative in tal senso. Siamo inoltre in attesa di alcuni incontri istituzionali (assessore alla salute, V Commissione). Ma è importante riuscire anche ad organizzare incontri nei territori al fine di far conoscere meglio gli obiettivi della campagna e le motivazioni. Riteniamo infatti che specialmente in una fase come quella attuale, tematizzare queste questioni sia essenziale: non bisogna solo resistere ma rilanciare; evitare di stare permanentemente in difesa. Ci sono persone che hanno grandi bisogni, alcuni di questi sono anche diritti. E’ importante che vengano fatti valere. Laddove invece al bisogno non corrisponde un diritto è fondamentale una pressione dal basso affinché siano assicurate le risposte necessarie. I tempi “bui”, non devono spaventare. Hanno bisogno di luce. Ed è una nostra precisa responsabilità illuminare. La Campagna ha già avuto un effetto importantissimo: mettere insieme esperienze diverse per un lavoro che è appena iniziato. Una responsabilità che con piena consapevolezza vogliamo assumere.
Diamo alcuni riferimenti per chi volesse saperne di più e anche collaborare
Abbiamo creato un blog http://leamarche.blogspot.it/ nel quale aggiorniamo sugli sviluppi della Campagna.
Per ogni informazione la segreteria della Campagna è presso la sede del Gruppo Solidarietà in Via Fornace 23, 60030 Moie di Maiolati (An). Tel e fax 0731-703327, e-mail: grusol@grusol.it.
Per chi desiderasse approfondire questioni e temi della Campagna proponiamo le seguenti schede:
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