Ci sono differenze che non così
sottili. Eppure ancora sembrano invisibili.
Nessuno (chieditelo al volo, tu che stai
leggendo!!) vorrebbe vivere in
un luogo in cui l’orario in cui ti alzi o mangi, la scansione della giornata, i
vestiti che indossi … sono definiti dagli orari delle pulizie o dall’arrivo del
furgoncino con il cibo (preparato chissà dove… e non scelto!).
Nessuno vorrebbe stare, per 30 o 40
anni della sua vita, in un edificio con altre 20/30 persone, dove le stanze sono tutte grandi ed i corridoi lunghi. Dove ci sono spazi in
cui stai di giorno e spazi in cui stai di notte. Dove non possiedi oggetti
personali.
Sappiamo tutti il valore di queste
differenze: mangiare intorno al tavolo in 8, 10 persone, non è come mangiare in
un refettorio con altri 40. Sintonizzare la propria vita e le proprie scelte con
altre 8,10 persone è più semplice che farlo con altre 40.
Sappiamo che i numeri e le dimensioni
contano, quando di tratta di vivere. E noi abbiamo bisogno di spazi definiti, di
autonomia nel muoverci in spazi che si sono familiari, di abitudini personali ed
ogni tanto anche di eccezionalità. Vogliamo condividere esperienze piacevoli,
non ritmi organizzativi.
Ed allora, è così difficile capire perché stiamo
insistendo così tanto perché la Regione Marche continui a puntare su servizi di
piccole dimensioni e non su strutture con nuclei di 20+20+20 persone? C’è
qualcuno là fuori che vorrebbe farsi determinare la sua quotidianità dai
principi dell’economia di scala?
Ma è davvero soltanto una questione
economica, oppure sta ancora funzionando l’idea (indicibile!) che poi in fondo …. son
disabili …. già dovrebbero ringraziare …. sono un costo per la società….e poi
tutto dipende dalle persone che ci lavorano. No. Le persone che ci lavorano sono
esattamente nelle stesse condizioni delle persone di cui si occupano:
spersonalizzate da una routine basata su minutaggi e rese automatiche da un
contesto che non permette un incontro reale con l’altra persona. Il regolare
contratto di lavoro non basta. Tocca tornare a mettere in discussione, anche da
lavoratori, il sistema dei servizi ed il modello a cui fanno riferimento.
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